Una riflessione sul futuro dell’Unione Europea
di Umberto Triulzi
Professore Ordinario di Politica Economica (SECS-P02) dal 2002 presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Titolare degli insegnamenti di Politica Economica Internazionale ed Europea. Dal 2014 Delegato del Rettore per la Cooperazione internazionale. Consulente di Istituzione di Organismi Nazionali, Internazionali ed Europei.
Quando si parla di Europa, da sempre, si presentano due diversi schieramenti: da una parte gli euroscettici, dall’altra gli euro ottimisti. Entrambi sostengono le proprie idee con motivazioni che spesso hanno poco a vedere con il funzionamento delle Istituzioni europee e che dipendono molto dal livello di istruzione ricevuto, da cosa e quanto si è letto sul tema, dall’ambiente in cui si vive, in cui lavora. Oggi, sembrano prevalere non tanto e non solo gli euroscettici ma movimenti populisti di forte opposizione nei confronti dell’UE.
Nel 2017 l’UE ha festeggiato il 60°compleanno dai Trattati di Roma, un anniversario che testimonia le difficoltà incontrate dal processo di integrazione nell’ultimo decennio, le più difficili della sua costituzione (25 marzo 1957). La macchina europea ha fatto molta strada, è stata revisionata più volte con l’introduzione di nuovi Trattati, ma necessita di modifiche e va rinnovata profondamente.
Bisogna ripensare il modello di integrazione ma per farlo occorre prima conoscerne il suo funzionamento, le sue regole, le sue Istituzioni.
Dobbiamo pensare anche ad un modello di Unione europea che piaccia non solo a noi, parlo degli gli adulti, ma soprattutto che piaccia ai giovani e che dia loro speranze di un futuro migliore.
L’Ue ha attraversato negli ultimi anni 10 crisi drammatiche dalle quali non sembra in grado di uscire:
- la crisi economica: fare ripartire l’economia e soprattutto l’occupazione è il problema principale. Cresciamo poco e le differenze con altri Paesi, in particolare con gli S.U. sono troppo evidenti per non porsi il problema del perché noi cresciamo così poco rispetto a loro.
- il problema dei rifugiati che abbandonano i paesi dell’Africa subsahariana e del vicino e medio Oriente per le guerre, per l’assenza delle condizioni di base (sanità, istruzione, lavoro) che consentono una vita degna di questo nome. Non è solo in discussione il Trattato di Dublino, firmato nel 1990 e sostituito da due Regolamenti successivi (2003 e 2013), che vede i paesi dell’UE divisi nel concordare una soluzione al problema dell’asilo politico, ma quelli che sono in discussione sono i valori etici e di solidarietà economica e sociale (l’economia sociale di mercato) che sono alla base dei Trattati dell’UE.
- il rischio di ulteriori fuoriuscite dall’UE (dopo la Brexit) di paesi membri in difficoltà (Grexit, Itaexit?). Se si mette in discussione quanto sin qui realizzato dall’Unione europea, possiamo attenderci che altri paesi, non soddisfatti delle regole dell’UE, manifestino l’intenzione di seguire l’esempio della G.B.
- la crisi delle principali Istituzioni europee (il Consiglio Europeo, il Parlamento Europeo, il Consiglio, la Commissione). Se non si riformano queste Istituzioni, ma anche quelle dell’Eurozona (Il Vertice Euro dei Capi di governo e dei Capi di stato dei Paesi dell’euro, l’Eurogruppo che riunisce i Ministri delle finanze dei 19 Stati membri che adottano l'Euro, la Banca Centrale Europea), corriamo il rischio di vedere cittadini sempre più scettici e pronti a chiedere di uscire dall’UE.
- il problema della sicurezza, dopo i tragici eventi accaduti a Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino, Monaco di Baviera, è diventato un problema di vita quotidiana per tutti. Il concetto di sicurezza è cambiato radicalmente, non ci sentiamo più sicuri di viaggiare, di utilizzare l’aereo o prendere semplicemente la metropolitana e questa mancanza di sicurezza, peraltro evidenziata da un insufficiente coordinamento tra le forze di polizia europee, ha effetti negativi drammatici sul senso di appartenenza ad una Unione che non sa proteggere i suoi cittadini
Come uscire dalle crisi a cui ho accennato e come superare lo scetticismo che invade l’Europa? E’ Il punto centrale della nostra riflessione. Per uscire dalla crisi dobbiamo iniziare a costruire una Europa diversa.
La storia del processo di integrazione di quest’ultimo decennio è una storia di divisioni interne, di controversie, di faticosi compromessi che hanno lasciano tutti insoddisfatti. Costruire un’Europa diversa significa dare vita ad un modello di società basato su valori condivisi e su progetti che uniscono e non dividono i paesi più avanzati dai paesi più vulnerabili, i paesi forti dai paesi deboli, i paesi in surplus dai paesi in deficit.
Credo sia fondamentale, dopo 62 anni di assoluto silenzio da parte delle autorità nazionali competenti, ma direi della politica in senso generale, avviare, sin dalla scuola primaria, un percorso di educazione dei cittadini all’integrazione europea finalizzato:
- ad approfondire la conoscenza del funzionamento delle istituzioni europee
- ad evidenziare successi e insuccessi dell’UE
- ad analizzare le proposte per uscire dalla situazione di crisi in cui viviamo.
Solo se conosciamo possiamo decidere. Se decidiamo senza conoscere non solo rischiamo di prendere decisioni sbagliate ma rinunciamo ad uno dei diritti fondamentali di ogni cittadino, quello di essere informato.
E’ allarmante vedere cosa sta succedendo oggi, specie se guardiamo agli aspetti economici e sociali dell’integrazione europea. Abbiamo 18 milioni di disoccupati e l’UE, questa è l’assurdità più rilevante, è il più grande mercato al mondo di beni e servizi. Stiamo perdendo peso e competitività a livello globale rispetto ai due principali player mondiali: Stati Uniti e Cina.
Come possiamo ricreare la fiducia dei cittadini europei, e dei più giovani in particolare, nel processo europeo? Come assicurare loro un presente diverso, e soprattutto un futuro diverso dal presente?
Tutte le situazioni di crisi, e quella attuale è certamente la più intensa e drammatica mai vissuta dall’UE, presentano anche delle opportunità perché inducono a cambiare, a mettere in discussione che cosa non ha funzionato, a studiare e sperimentare nuove soluzioni.
La domanda da porre è la seguente: i Trattati che abbiamo firmato e le Istituzioni dell’UE sono in grado di offrire soluzioni adeguate per uscire dalla crisi?
Sappiamo che la Comunità Economica Europea, così si chiamava all’inizio del processo di integrazione, è nata con la firma del Trattati di Roma nel 1957. In realtà, è nata qualche anno prima con la CECA (un’esperienza di successo) e la CED (un’esperienza fallita). Era un Europa sorta da un ambizioso disegno politico voluto dai grandi padri fondatori dell’Europa (Schuman, Adenauer, De Gasperi, Monnet) e che non ha avuto bisogno di guerre per affermarsi. E’ nata pacificamente e ha salvaguardato la pace per oltre 60 anni.
Oggi la situazione è molto diversa. Prevale, si è detto, l’insicurezza e la sfiducia reciproca tra gli Stati membri, crescono i movimenti populisti, sovranisti e le forze politiche che propongono nuove forme di nazionalismo. La risposta più semplice data da molti Stati membri dell’UE è stata riprendere a costruire muri e non ponti.
Sono tanti gli interrogativi a cui rispondere e non credo che le risposte, quelle più convincenti e condivisibili, possono provenire da chi è stato, nel corso degli ultimi anni, al governo dell’UE e dei 27 paesi membri. Credo che le decisioni debbono essere prese al livello politico più alto, ma devono provenire ed essere sostenute da chi ha il potere di invocare e produrre i cambiamenti che auspichiamo.
Le proposte per un’UE diversa possono nascere solo dal basso. Spetta a noi, semplici cittadini, che guardiamo con preoccupazione a quanto sta accadendo nell’UE, decidere se restare migliorandone il funzionamento, se condividere gli ideali sui quali è stata costruita la casa dell’Europa, oppure decidere di abbandonarla.
Il processo di costruzione dell’UE non è terminato. L’Europa è ad un bivio e sono forti i timori di chi ritiene che non ci siano le risorse (umane e finanziarie) necessarie a trovare le soluzioni di cui abbiamo bisogno.
Cambiare le attuali regole della governance europea, rovesciare la filosofia dell’austerità e passare da politiche di bilancio volte a garantire “la stabilità per la crescita” a politiche rivolte “alla crescita per garantire la stabilità” richiede un coraggio politico, istituzionale ed economico che non alberga nella attuale leadership europea.
Percorsi veloci in tale direzione non sembrano oggi né possibili né auspicabili.
Per operare i cambiamenti di cui si è parlato occorre tempo e soprattutto energie nuove, nuove forme di rappresentanza della volontà politica degli elettori costruite non solo su base nazionale ma su base europea, nuovi modelli di democrazia partecipativa che consentano ai cittadini e alla società civile di essere costantemente informata dalle istituzioni europee e dagli Stati membri dei progressi compiuti e/o delle difficoltà incontrate non lasciando incertezze sul loro operato.
Sta a noi, dunque, completare la costruzione della casa europea, ma portare a buon fine questo lavoro è possibile solo partendo da un riscatto culturale incentrato sulla formazione, lo studio, la conoscenza, la condivisione. Questo è l’obiettivo di fondo di ogni manifestazione finalizzata a celebrare la festa dell’Europa: entrare nella vita, nell’operato e nelle politiche delle istituzioni europee per cercare di cambiarle da dentro nell’interesse di tutti i suoi cittadini ma iniziando dalla difesa dei suoi cittadini più vulnerabili.